S. Maria del Olearia. Aperture straordinarie di domenica Stampa
Sabato 23 Giugno 2012 10:22

Santa Maria de Olearia di Maiori, l’antico complesso abbaziale antecedente all’anno Mille, rimarrà aperta straordinariamente tre volte a settimana per tutta l’estate. Si comincia domenica 24 giugno, con le aperture assicurate dalla Soprintendenza ai Bsae di Salerno e Avellino, che ne garantirà la visita ogni domenica, fino al 28 ottobre 2012 (con orario 8-14). Il Comune di Maiori, da parte sua, partirà con un parallelo progetto, a partire dal prossimo 27 giugno, che consentirà di triplicare le aperture settimanali, con le aperture ogni mercoledì (dalle 15.30 alle 19.30) e ogni sabato (dalle 9.30 alla 13.30). La sinergia raggiunta tra la Soprintendenza ai Bsae, guidata da Maura Picciau, e il Comune di Maiori, con il sindaco Antonio Della Pietra, consentirà così di rendere fruibile ai tanti visitatori il sito religioso, considerato tra i più importanti insediamenti monastici benedettini dell'intero territorio amalfitano. Il ciclo di aperture è stato preceduto, l’altra sera 21 giugno, in occasione della Festa Europea della Musica, da un concerto eseguito tra le mura dell’eremo dalla Classe di Musica d’insieme per strumenti e fiato del prof. Antonio Fraioli. Un appuntamento promosso dalla Soprintendenza Bsae insieme con il Conservatorio “Giuseppe Martucci” di Salerno e il Comune di Maiori.

S. MARIA DE OLEARIA. UN PO’ DI STORIA. Situata lungo la statale amalfitana che collega il promontorio di Capo d'Orso con Maiori, S. Maria de Olearia vede le prime notizie sulla sua fondazione risalire al primo arcivescovo di Amalfi, Leone,  - questi rivestì la carica dal 987 fino alla morte, avvenuta nel 1029 -  che concesse a Pietro, un eremita che viveva lì in compagnia del nipote Giovanni, di edificare la chiesa di Santa Maria dell'Olearia, nel luogo in cui avveniva la lavorazione dell'olio (Liber pontificalis ecclesiae amalfitanae). L'evoluzione in senso monastico del sito avvenne dopo il 1087, allorquando l'eremo venne concesso dal Duca Ruggero Borsa a Pietro Pappacarbone, abate del monastero benedettino della SS.ma Trinità di Cava dei Tirreni. Infatti in un documento del XIV secolo viene annotato che il monastero era abitato da monaci. L'abbazia nel 1580 venne poi incorporata nel capitolo della Cattedrale di Amalfi da papa Gregorio XIII. Rara e preziosa testimonianza di arte e architettura del primo medioevo nell'intero ducato di Amalfi, il monumento è stato reso noto, per la prima volta, nel 1871 dal Salazaro . Costruito all'ombra di un grande antro roccioso naturale, nel corso del tempo buona parte di esso è stato trasformato ad uso privato. Per quanto suggestive siano le sue caratteristiche architettoniche ed ambientali, i dipinti che lo decorano costituiscono il dato di maggiore interesse. Si tratta di tre diversi cicli pittorici ad affresco, tutti medievali, ma eseguiti in tempi diversi, dislocati in altrettanti ambienti sovrapposti di destinazione cultuale. Nel primo di questi, comunemente chiamato cripta o catacomba, composto da tre sale contigue, è presente, in due delle absidi orientali, il primo nucleo di affreschi, risalenti presumibilmente all’insediamento primigenio. Sono rappresentate figure di santi la cui cifra stilistica è da ricondurre alla cultura medievale campana tra X e XI secolo. Sulla parete adiacente in cui, insieme all’immagine della Vergine orante, figura anche quella dell’offerente della chiesa, si riconoscono invece caratteri bizantineggianti, trasferiti qui attraverso la pittura eremitica pugliese del primo trentennio dell’XI secolo.  Sulla terrazza posta superiormente, addossata alla roccia, si trova poi la chiesa che contiene il secondo importante ciclo di affreschi. L’epigrafe dipinta sulla sua facciata, A.D. M.C.X., sembra indicare l’anno dell’edificazione dell’edificio e quindi dei dipinti che ne rivestono la volta e buona parte delle pareti. Essi rappresentano scene cristologiche dell’Incarnazione e della Passione, attinte da repertori bizantini, ma di chiara impronta culturale campano-laziale, vicine cioè alla produzione coeva degli Exultet. Attraverso una piccola scala è possibile accedere alla cappella di San Nicola, costruita sulla chiesa sottostante ed interamente affrescata, finanche sulla facciata. L’abside del piccolo vano voltato, è collocata a settentrione e mostra la Vergine affiancata da San Nicola e san Paolino, con un chiaro richiamo al ruolo svolto dai due nella difesa dell’ortodossia contro l’eresia. Sulla parete orientale sono raffigurate scene di miracoli di San Nicola e su quella opposta due teorie di santi, di difficile lettura perché in cattivo stato di conservazione. Sulla volta si staglia un clipeo contenente il Cristo Pantocratore, mentre sulla facciata figurano, ai lati della mano del Signore, due eleganti angeli svolazzanti. L’articolata ambientazione spaziale delle figure, rese con consapevole plasticità, ha spinto la moderna critica ad avvicinare questi dipinti alla pittura medievale romana tra XI e XII secolo, di cui il dato peculiare è costituito dai rimandi alla cultura carolingia e tardoantica.